° SOGNI °

San Prospero, Modena.

Modena, 22 Giugno 2019
Da Modena a S. Prospero per 18 Km

Viaggiamo spediti in direzione Lombardia su una ciclabile nel mezzo dei campi di grano che manco in un film. Partiamo che la città ancora non si è svegliata, ed è sempre più facile così, oltre che bello. Verso occidente azzurro, passerotti e arcobaleni. A oriente, cielo piombo, avvoltoi e alberi morti. Fulmini e saette. In maniera sempre composta e senza allarmismi, i media strillano da un paio di giorni che sì, l’armageddon è vicino e che il giudizio universale avrà luogo a Modena e provincia. Hanno vinto la gara, pare. Fischiettiamo e giochiamo con Arno facendo nostro il vecchio adagio per il quale se è un problema lo ignori, quello si risolve da sé. E in effetti non abbiamo poi così torto sto giro. Mentre a Modena viene giù una grandine come palline da golf, a nemmeno quindici km la tempesta ci lambisce appena le terga obbligandoci comunque a trovar rifugio in un bar sulla statale. Credo sia ormai evidente ai più che i bar sulle statali debbano rispettare qualche tipo di normativa estetica o di tutela del paesaggio sub urbano. Pure questo è una discoteca residuato degli anni novanta, ricavato da un magazzino agricolo. Trionfo di geometri e arredatori da ingrosso realizzatisi in un bancone nero lucido, nei faretti sparati bianchi e in un po’ di neon qua e là, lanciati a caso. La sala slot, a pieno regime. Da manuale. Aria condizionata e tabacco mal fumato. Pure per gli avventori, qualche normativa, codice o codicillo la devono rispettare, almeno per l’outfit. Bermuda e magliette troppo strette per pance nutrite a lager, Code di cavallo da villaggio turistico e infradito riciclate dalle due settimane a Ibiza l’anno prima. Per come si sono messe le cose, cerchiamo rifugio per la notte, va là, che la compagnia pare buona. Il nostro nuovo amico -armamentario suddetto a parte- ha le orecchie a sventola e i denti posti su più fila. Anche se con il sorriso da carcarodonte, è un bravo tipo ed è lui a indirizzarci da Marco, affittacamere amico suo. Poi -chissà come- si accorge di aver scordato il portafoglio a casa. E ci mancherebbe, madame una Moretti per il giovanotto! La barista dall’aria ottusa mi guarda con commiserazione, ma che ne vuol sapere lei. Alex, un altro avventore, ma senza coda di cavallo, ci offre un passaggio. Alla grande. Mentre citofoniamo a Marco studio il territorio e le possibili vie di fuga. Come approntare una difesa quando proveranno a farci a fette nel sonno per rivenderci sul mercato clandestino degli organi. E invece no. Continuo a stupirmi dei miei pregiudizi. Marco è un adorabile signore di ottant’anni da subito cordiale, sorridente e di grande spirito. Arrotonda la pensione affittando camere nella sua grossa casa di due piani. Di moglie non ne parla, forse vedovo, chissà. Al figlio invece non riserva lusinghe. Cinquantenne disoccupato, che gli mangia i pochi risparmi a colpi di tre pacchetti al giorno. Parcheggiato in cortile un furgone da impresa di giardinaggio e ti chiedi davvero come sia possibile che alla sua età ancora si debba rompere la schiena. È paradigmatico di quella provincia italiana iper ricca uscita alla fine dei conti malconcia dall’ubriacatura degli anni ottanta e che ha accusato come ferale l’ultima interminabile crisi. Un passato da artigiano, pellettiere. “Eh, se ne guadagnavano tanti, ma si spendevano di conseguenza” ammette. “Sono stufo” dice “Sono anni che provo a vendere la casa e tutto” con una stanza piena zeppa di materia prima appesa, scampoli immobili, impolverati. Nessuno vuole più pelle e pellicce, e allora ci si arrabatta, “ma mancano sempre mille euro per fare i duemila che servono”.
È un uomo vivace e intelligente, si vede. Ci porta in mansarda a visitare l’acetaia. Produce aceto da sempre. “Ma non lo vendi?” chiediamo. “Perchè la spesa non vale l’impresa” Ma lui continua, perchè l’ha sempre fatto e perchè a uno come lui, in realta, a togliergli le sue duemila fatiche quotidiane, lo ammazzi. La vita come lavoro, la realizzazione attraverso la fatica di una provincia che ci ha sempre creduto ciecamente e alla quale lo si è fatto gustare il benessere. Insiste per cenare insieme in cucina, ci offre del bianco. Nel mentre guardiamo la tv. Noi non siamo abituati. La telecamera indugia sulle chiappe nude di sgallettate ventenni e scopro a imbarazzarmi. Ogni volta che il compare semiebete di Bonolis dice una freddura, un po’ di cervello ci scivola via dal naso. Alla fine della cena Marco ci regala una boccetta d’aceto e una vecchia reflex che non usa più. Non sappiamo come sdebitarci, ma dice che il più bel regalo è sapere che la useremo.“E quando avrai venduto, cosa farai?” gli chiede Ilaria. “Ah, credo andrò a Lanzarote a riposarmi” ma dalla voce si capisce che non ci crede neppure lui. Che alla fine la sua vita è quella ed è lì. Ma i sogni sono leciti e gratis per tutti e soprattutto tengono in vita, quanto la vita stessa.