| Mal tempo, mala tempora |

Roma , giovedì 15 Maggio 2014
– 36 giorni alla partenza

 

Chi è chissà di che
siamo capaci tutti

C.S.I. –  “Memorie di una testa tagliata”

Oggi è mal tempo.

Male il tempo. E pure mala tempora.

Sono anni bui, sì. Di barbarie. E non serve per forza l’atomica.

E cammino, che devo fare? Alleno le gambe e il respiro. Cammino e penso. Sono
pensieroso.

Penso che lo so quali sono i grandi drammi della vita. E penso che so delle
guerre e dell’odio. Della fame e del pianto.

E penso che in confronto le ingiustizie e le piccole delusioni quotidiane non
dovrebbero turbarci, ma non è così. E’ forse giusto che non sia così. Non lo
so.

E penso ad Andrea, un collega, o meglio un quasi collega. Uno che vorrebbe
tanto fare questo mestiere e non ce la fa, avendone pure tutte le carte in
regola. Anzi, molto più di tanti altri di mia conoscenza. Almeno per quel che
riguarda passione, voglia, intuito e onestà intellettuale. Ecco, ma é un puro,
di quelli fedeli a se stessi, con pochi compromessi da prendere e sparare dalla
cartucciera della vita, e ormai pare sia un problema.

E’ passato in ufficio da me ieri, portandomi a vedere un lavoro bello, su un
argomento grosso e importante, all’estero, in una situazione logistica
difficile. Bel lavoro, anche se da sgrossare e rifinire come da manuale. Ci sta
sputando il sangue sopra. E lo vedo, lo percepisco proprio.

Lo consiglio come posso, faccio delle valutazioni cerco di tirare delle somme e
poi cerco anche di indirizzarlo al meglio, che se la merita proprio, una mano.
Per quel che può valere il mio aiuto, ovvio. Ma è demotivato, stanco, spossato,
nello spirito e nell’entusiasmo. Mi dice che vorrebbe vincere un premio. Già un
premio. Quello é. Un grant. E lo capisco pure, é una tappa importante e
aiuterebbe a rincuorarsi.

Posso dire di averlo visto crescere, fotograficamente parlando. Dai primi
lavori ingenui mal prodotti, postprodotti a cane e consegnati goffamente, a
questo progettone difficile e di inchiesta rischiosa con tutti i crismi. Di
pari passo cambiano le sue aspettative e i suoi traguardi, e vuole un
riconoscimento da parte del carrozzone blasonato e che conta. Un premio, già.

E però vorrei dirgli, non ci cascare Andrea, i premi sono importanti per la
carriera, é vero sì, ma non é quello.

Lo so che non farà l’errore di pensare che sia solo quello. Perché L’ idea che
lo muove é altra. Ed é alta e so che non la perderà di vista.

Il diritto di informazione, l’inchiesta, la libertà di stampa e il dovere che
senti dentro di rendere partecipi tutti delle merdate che hai scovato in giro
per il mondo. Per denunciare e per fare il tuo pezzetto fatto bene in nome di
una coscienza civile sana e robusta. Retorico? Lo accetto, ma qualcuno mi vuol
spiegare allora l’alto pensiero che sta dietro la smania di vincere un premio?
Io non sento parlare d’altro ormai. Chi ha vinto che cosa.

Quando ci é presa sta psicosi dei premi? (Ne ha già parlato meglio di me
Smargiassi su La Repubblica tempo fa e non mi dilungherò) Questo passaggio del
mio mestiere, me lo sono proprio perso.

Ok il digitale, ok la crisi della carta stampata, ok la democratizzazione del
mezzo, ok internet, ok tutto.

Ma il senso finale della questione? Spesso mi sfugge e fatico a rincuorare o a
convincere un altro a non mollare la via che credo sia giusta e sana.

Credo dovremmo fermarci un attimo tutti, guardarci in faccia e farci le domande
opportune. Per chi? Perché? Per che cosa?

Ed essere onesti con noi stessi sulla nostra professione, per cercare risposte
a un meccanismo competitivo malsano, che credo non porterà a nulla di buono, se
la libertà -di informazione, ma non solo- é il principio a cui aneliamo come
fotoreporter.

Tempo addietro un amico voleva convincermi che ormai nessuno può fare
informazione, al massimo possiamo aspirare ad essere tutti buoni comunicatori.
Non mi ha convinto e sarò pure uno stupido romantico, ma credo che di Andrea
sia ancora pieno il mondo e mi sento addosso il dovere, per la mia poca
esperienza in più, di continuare a portare avanti questo discorso.