Roma, 02 Settembre 2020
20ª tappa Oltretevere, Labaro – Isola Tiberina, 22 km
— Hai presente quel grosso edificio con tutti gli animali disegnati sopra? —
Andrea sgrana gli occhi — Ma quale, quello sulla A1? —
— Eh —
— Lo adoro. Punto di riferimento assoluto — dice con la bocca che casca leggermente — Fin da bambino—
— Beh, si passa lì dietro. C’è una stradina —
Lui sgrana gli occhi, io gongolo.
L’ho appena conosciuto. Seduti vicini a tavola, amico di amici. È uno street artist famoso ed ero certo l’argomento grossi animali sulla facciata lo avrebbe avvinto – vinco facile – ed è subito ben disposto alla chiacchiera.
Come sono praticamente certo che ogni buon romano in direzione nord, sappia di che cosa sto parlando.
Almeno, per quelli che vanno in macchina. Mangimi Lazio. Lato destro, salendo verso Orte.
Un magazzino destinato all’anonimato se non fosse per quelle sagome di animali a campitura piena.
Coniglio giallo, pecora verde, cavallo marrone. E da altre latitudini, pure uno struzzo blu.
Chissà poi a chi gli è venuto in mente.
E perché dico sta cazzata?
Perché non parlo dell’arrivo a Roma?
Della commozione nel calpestare l’isola Tiberina dopo venti giorni di cammino, degli amici che aspettano per applaudire, dei mitici Sputnik Attack con la bici a tre ruote che conclude la tappa in musica, della sorridente Marida che con occhi scintillanti ci illustra la storia dei bastioni e delle esondazioni di Roma, del suo maledetto cielo catartico visto dal basso da dentro una trincea bianca che fa dimenticare il traffico cafone di macchine e motorini e millenni di laidi traffici?
Perché?
Non lo so. Ecco.
O forse perché non ci sono parole in realtà. È tutto troppo. Ma puzzerebbe di retorica scriverlo.
Ad ogni modo di una cosa ho la certezza mentre mangio hummus con Andrea.
Mangio e penso che c’è sempre un lato B delle cose, per tutto.
(Applausoni)
(Grazie)
Un creato fatto di infiniti risvolti della medaglia. Anzi, a ben guardare la vita intera che si offre in una dualità perenne e generosa che invita alla decisione, alla scelta l’occhio più attento. O quello più inquieto.
Il non evidente come il non detto. Il nascosto come il non rivelato.
Ed è impossibile non subirne il fascino, perché sottende alla possibilità di una scoperta di cui è ben lecito voler godere, in quella piccola, meschina, umana letizia che si prova magari nello sperare di essere i primi se non addirittura gli unici a goderne
Inutile negarlo.Il ristorantino che si preferisce non pubblicizzare. Il disco di culto che piace pensare essere gli unici a poter comprendere. La band che era fica finché la conoscevamo in sette, parenti inclusi. Il film culto strampalato e misconosciuto ai più.
Tutta roba che si spera le manacce grossolane di quella massa detta gente dalla quale si rifugge per piccolo vezzo esclusivista, non arrivino a illordare.
Ecco, io adoro i lati B. rischiando addirittura la gogna di facili battute in aria di terga femminili
E soprattutto adoro il lato B che offre la pratica del cammino.
Mi ci crogiolo proprio. Adoro passare dietro le cose. E comunicare agli altri che l’ho fatto. Renderli partecipi fra stupore e invidia.
Anzi è forse uno dei premi più ghiotti per soddisfare tutta sta fatica, tutto questo sudore.
La facciata disegnata per il pubblico della A1, prosegue per altri tre lati. Non è tenuta su come una scenografia. L’ho visto con i miei occhi.
I “vero”, i “reale”, scappano dallo stilema appiccicatogli addosso. Da un davanti “buono” per i più.
Si soddisfano su asfalti dimenticati, si autoproclamano su secondarie in disuso, si galvanizzano su sentieri suburbani. Si realizzano nel proprio retro, guardandosi il culo.
Il cammino è un perenne raccordo di veli squarciati. Un’operazione di disvelamento continuo.
Perchè se le automobili creano l’evidenza collettiva di un territorio, camminare costringe alla sua rivelazione.
Tutti possono camminare sull’isola Tiberina, ma vuoi mettere il retro della Mangimi Lazio.