San Remo, mercoledì 06 agosto 2014
XXXIII tappa: Marina d’Aregai – San Remo, 31 km
Invecchiando gli stanziali accumulano.
Gli irrequieti invece buttano via le zavorre,
come se la vita fosse una mongolfiera.
Paolo Rumiz – “Tre uomini in bicicletta”
Penso sia abbastanza comune ignorare totalmente una parola, un nome, un luogo
oppure un qualcosa, per poi, appena venutone a conoscenza, inciamparvi in
continuazione, nemmeno a farlo apposta.
Se a cena si conosce un amica originaria di un paesino della Lapponia, il
giorno dopo, aprendo il giornale, é garantito che si troverà un approfondimento
imperdibile sulla renna da slitta autoctona e sulla sua importanza per
l’economia del continente tutto. La sera al cinema, sicuro, un film d’avanguardia sulle turbe
sentimental-amorose di due raccoglitori di licheni artici. Complicato, a tratti
lento, ma bello.
Ecco. Forse non sarò un esperto botanico, però l’hobby delle piante e del
giardinaggio ce l’ho da un po’, ma l’ipomea proprio non l’avevo mai sentita.
Vista sì, sicuro, ma mai mi ero soffermato a trovarle la dignità di un nome
-che mi insegna un’amica in cammino- ponendola alla stregua di un volgare
rampicante. E ora la vedo ovunque a perdita d’occhio su ogni rete, muretto,
palo della luce, cespuglio e aiuola e ogni volta ne ripeto il nome come un mantra.
La pista ciclabile che mi porta a San Remo é ricoperta di queste grosse
campanule viola scuro e sarà il mare verde, il sole giallo o il cielo blu, ma
io li trovo i fiori più belli, gentili e raffinati che abbia mai visto. Privi
di profumo, il che nemmeno guasta. Va bene così.
Cammino da giorni lungo costa. La morfologia ligure tra levante e ponente, é
decisamente differente, con Genova a far da spartiacque fra due coste simili,
soltanto uno sguardo superficiale. Lo spazio abitabile fra mare e le prime cime
si allarga lasciando ossigeno per un susseguirsi di cittadine (dai nomi
pressoché identici) che si estendono verso l’entroterra fra serre e
coltivazioni. Attraverso ponti su canali e canaletti a dimostrazione di quanto
l’assetto idrogeologico ligure, sia fitto, complesso, vivo e in costante
mutamento.
Arrivato ad Arma di Taggia, credo di aver visto più aironi che cristiani.
La vecchia linea ferroviaria, di inizio secolo scorso, corre a bordo mare. I
treni, da anni, passano più a monte e quasi tutto il percorso originario é
stato recuperato per diventare pedonale e ciclabile. Cammino per ore e giorni
entrando e uscendo da vecchie gallerie ogivali, fresche e umide. Un vero
sollievo. In alcune di esse, si aprono terrazzini a strapiombo sugli scogli e
sulla schiuma bianca del mare, dieci metri sotto. Una meraviglia per gli occhi,
per il cuore e per le ascelle agostane.
Avvicinandomi a San Remo il traffico di pedoni e ciclisti si infittisce.
Soprattutto quello di ciclisti che sfrecciano a gruppi per i 26 km ininterrotti
fra Ospedaletti e San Lorenzo a mare. I ciclisti si muovono in branchi di
minimo cinque unità. Vestono abiti fascianti e di colori sgargianti e non
sempre il risultato estetico é dei migliori. Fanno a gara ad avere biciclette
che pesano quanto un toast anche se il record attualmente imbattuto, é la
galletta di riso imburrata. Li sento solo parlare di valichi e di peso del
telaio. Quando scendono dalle biciclette si scopre come siano totalmente
inadatti al cammino, come papere fuori dallo stagno. In genere hanno dei
polpacci che sembrano le braccia di Popeye, ma zoppicano, scivolano, barcollano
con le chiappe appizzate all’infuori. Hanno delle scarpette magiche, che se le
lanci in aria si attaccano direttamente ai pedali. Roba da NASA. E ogni sorta
di contachilometri.
I ciclisti si muovono in branco sì, e sono in cima alla piramide alimentare,
ormai ne ho la certezza. Sotto il ciclista si pone l’homo sapiens sapiens che
sta subito un gradino sopra il leone. Io, pedone con lo zaino, vengo posto tra
gli ortaggi, mi pare di capire . Tra sedano e carota, decisamente al di sotto
della melanzana. Lanciano grida e mi sfrecciano a mezzo millimetro anche se me
sto buonino nella mia corsia, ma tant’è.
Se un uomo a piedi incontra uomo con la bici, l’uomo a piedi é un uomo morto.
Libera citazione, sì.
Saranno l’istinto di sopravvivenza o la voglia di non fare la fine del riccio
lungo la carreggiata, ma arrivo a San Remo con mezza giornata di anticipo.
Quasi correndo. L’idea di godermi un pomeriggio di relax senza scarpe, mi
alletta davvero molto. E un altro piacevole incontro e un’altra piacevole
scoperta mi attendono.
Zoe é una collega fotografa milanese che vive qui da un paio di anni. Lei e il
fidanzato si sono offerti di darmi rifugio per una notte, durante la mia
bizzarra avventura. La cosa strana e che mi fa riflettere, é che io e lei ci
siamo scritti mail e parlati via skype un miliardo di volte, ma mai ci siamo
incontrati di persona. Conosco bene il suo lavoro e mi sembra di conoscere lei
da una vita e mi pare la cosa sia reciproca. Lo realizzo mentre per la prima
volta ci diamo un lungo e stretto abbraccio sotto casa sua, da vecchi amici,
nel centro storico di San Remo. Mentre ce la ridiamo nel vicolo, riusciamo
finalmente a darci una forma tridimensionale, una consistenza fisica, un
esistenza adigitale. Strana sensazione. Sentiamo le nostre voci, vediamo i
nostri colori e sentiamo i nostri profumi.
“Cosa vuoi fare?” Mi chiede. Sono le undici e abbiamo la giornata
davanti.
“Andare al mare, ovvio!”
“Sì sì, se ne parlava anche con Carlo e Chicca, aspetta che li
sento”.
Siamo sul miniterrazzo del suo appartamentino tutto scalini, in centro a La
Pigna, cuore di San Remo, zona che ignoravo del tutto.
Dopo mezzo minuto , dall’altra parte del cortile si affaccia un ragazzo sulla
quarantina brizzolato e con gli occhiali che mi saluta cordiale e che attacca a
parlare con Zoe. Subito dopo appare quella che suppongo essere la sua compagna.
Fra sole e panni stesi si prendono accordi e dopo nemmeno mezz’ora siamo in
macchina in direzione Le calanche, a Ventimiglia. Prima però saliamo sul tetto,
sulle tegole, per vedere il mare e le navi da lì, in mezzo ai gabbiani. Il
tempo sembra rallentare, come nei piani lunghi dei cartoon di Mihazaghi.
“Non guido da un sacco di tempo mi dice, ma adesso che ho la macchina, mi
torna comoda” e scala in prima che a momenti il cofano si apre. Mentre
annuisco, controllo la cintura e volgo un pensierino a San Giuseppe, che si sa
mai.
“Ora mi sto di nuovo impratichendo”. Vedo.
Imbocchiamo un paio di curve e ho la quasi totale certezza che il mio viaggio
stia volgendo al termine.
Tirare le cuoia su un auto sarebbe davvero il colmo, a questo punto. Soprattutto
l’idea degli amici che, in abiti scuri e con gli occhiali da sole si
bisbigliano “Lo sapevo io, era impossibile farla a piedi e avrebbe preso
la macchina, gliel’avevo detto…” mi intristisce.
Cerco di non pensarci e facciamo conversazione.
“La Pigna é un quartiere fantastico” mi dice “e nessuno lo
conosce”.
Confermo, mai sentito.
“La scena qui é rubata dall’Ariston”
“A sì, ci sono passato davanti prima! Beh, sì, mi immaginavo una cosa un
po’ più imponente, é uno sputacchio, invece.” dico. Non so bene cosa mi
aspettassi, ma dopo trentacinque anni di psicosi nazionalpopolare a scadenze
annuali fisse, mi ero fatto l’idea di una sorta di Brodway tricolore.
“Ma no, infatti é strano, piccolo e pure bruttarello”
“A-ha”
“La Pigna invece, é una zona vivacissima, bella, piena di stimoli, storie,
gente carina che prova a fare cose belle al di là del festival della canzone
italiana”
“É un po’ che ci stai vero? Come mai? A San Remo dico…”
“Sì, un paio di anni e mi sono sentita a casa da subito, poi ho conosciuto
Abdel e ho avuto un’ ottima ragione in più per fermarmi”.
Abdel, nel frattempo, é a lavoro ma ci raggiungerà stasera non appena finito.
“Ho anche incontrato Carlo e Chicca che sono nell’associazione Pigna Mon
Amour che si muove sul territorio per organizzare eventi culturali. Gli do un
mano come posso” .
Carlo e Chicca sono nella macchina dietro di noi, con i figli. Lei avvocato,
lui restauratore si riveleranno in breve persone amabili colte e intelligenti
con le quali passeremo ora liete in spiaggia, parlando di arte, politica e
vacanze. Mi paiono colpiti dal mio viaggio, e si informano su tutti gli aspetti
dell’impresa. Sono accompagnati da due amiche che lavorano per la fondazione
del Castello di Rivoli.
“Ma con il lavoro come sei messa? Ce la fai senza stare a Milano?”
chiedo. Mi interessa ,visto che pure io ho lasciato la grande città da quasi un
anno, per vivere in una cascina a 60 km da Roma. Per inciso, l’idea migliore
dei miei ultimi quindici anni.
Imbocchiamo una rotonda e ho giusto il tempo di vedere il bianco degli occhi
del tipo sull’auto blu scuro. E il labiale.
“Bah, il lavoro ormai é sempre più fermo”
Annuisco. É così per tutti. Purtroppo.
“Tanto vale stare in un posto che ti piace, con gente carina e ritmi di
vita logici”
Non può che trovarmi d’accordo. A pensarci bene, negli ultimi due anni ho
sentito dozzine di storie come la mia e la sua. Stiamo assistendo a una sorta
di migrazione interna dal centro verso i piccoli paesi o le campagne, senza che
la nazione se ne occupi molto. Si, qualche articolo qua e là sui neocontadini,
ma poca roba, sottolineando quanto sia di tendenza e cool. Gli amici che si
mettono a far la terra o hanno piccole attività legate al rurale, ormai, non si
contano più. Posso vantare amici agricoltori, pastori, apicultori, artigiani.
Chi fa saponi, chi formaggi, chi olii essenziali. Tutti laureati e con master,
ben inteso.
Nel mentre, assistiamo impassibili alla rivoluzione ipertecnologica delle
stampanti 3D, senza renderci ben conto di come probabilmente porranno fine al sistema
di produzione di massa come lo conosciamo oggi, e al postindustriale, con buona
pace del Fordismo una volta per tutte.
La mia generazione ha sbattuto a muso pieno sull’avvento di internet passando
dai floppy disk a google earth con una velocità vertiginosa. Ho l ‘impressione
che la possibilità di produrre oggetti in maniera casalinga, sarà un qualcosa
di simile. Uno stravolgimento epocale.
E quale sarà la velocità? Quali i tempi?
Sono già stati costruiti si aeroplani, automobili, pezzi di ricambio, protesi
mediche e negli States, il caso del progetto, free on line, della prima pistola
in undici pezzi comodamente stampabili in casa mediante stampate 3D, ha già
spaccato l’opinione pubblica e fatto intervenire l’F.B.I. Mentre in Giappone,
un utente, é stato arrestato per aver utilizzato proprio questo progetto per
costruirsi un’arma da fuoco -che ideona- non regolarmente registrata.
Rifletto e guardo il mare scorrere alla nostra sinistra. Siamo quasi arrivati e
Zoe continua a spiegarmi dell’associazione e del perché sia entusiasta del
quartiere La Pigna: “Le attività sono tantissime, cinema all’aperto,
Pigna&wine, musica con il festival Rock the casbah…”
Intanto ecco Ventimiglia. Domani, a quest’ora, ci sarò arrivato a piedi. Poi 7
km, poi Francia. “…e c’è anche un’importante collaborazione con il
dipartimento educazione del Castello di Rivoli al quale partecipa anche
Michelangelo Pistoletto…”
Non c’è da annoiarsi, mi pare di capire. La Pigna, chi l’avrebbe detto.
“… si cerca di rivalutare il centro storico e si lavora anche nel
sociale con laboratori gratuiti di vario tipo, per i bambini del
quartiere”.
Scendiamo un sentierino sterrato dietro la fortezza fin sulla sabbia e ci
areniamo li ad oziare fino a tardo pomeriggio che intanto la serata é già bella
che pronta: cena a casa del dott. Pino, presidente di Pigna mon Amour , e dopo
concerto in piazza, su in alto, nel cuore de La Pigna.
“Ok, ci sto. Però guido io va là!”
Siamo seduti a una tavolata di venti persone mangiando una pizza fatta in casa,
meravigliosa. I padroni di casa impeccabili, ospitali, cordiali e divertenti.
Il giardino é un oasi inaspettata in mezzo a queste casette addossate una
all’altra in pieno stile ligure. La vegetazione, lussureggiante, fra piante e
vasi. Mi faccio dire il nome di tutti gli alberi che non riconosco. Un
pavimento decorato ad azulejos mi fa sentire per un attimo in Medio Oriente.
Che so, Libano? Che regalo.
E finalmente incontro anche Abdel, il compagno di Zoe e capisco come possa
essere facile perdere la testa per un uomo così. Sembra un attore, il volto
squadrato, ben disegnato con due occhi verdi e uno sguardo che sembrano
berberi.
Nei modi, pacato e gentile, ma sicuro e rassicurante al contempo.
Mentre saliamo alla piazza io e Zoe continuiamo a chiacchierare. “Milano
la trovo soffocante. Qui tutto é vivibile e a dimensione umana. Tutte le mia
amiche mi chiedono cosa io faccia qui, come faccia a non annoiarmi”. Penso
di immaginare, mi é familiare la domanda. “…però poi, quando le sento,
passano il tempo a lamentarsi di come le loro vite non gli piacciano, che noia
Milano etc etc…”
“Già…”
“… e poi li ero sempre bianchiccia, malaticcia, mal di gola sempre. Qui
sto una bomba, mangio bene, vado in bici…”
“… vedo…”
“…ho soltanto preso in mano la mia vita. Perché loro, al posto di
lamentarsi, non prendono decisioni e cambiano cosa non gli piace nelle
loro?”
“Non so” rispondo “forse perché costa fatica. E ci vuole tanto
coraggio, forse, chissà…”
“Già”
“… a te pare semplice, perché ora l’hai fatto, ma sai benissimo quanto
sia facile impantanarsi nelle situazioni…”
É come quando ci si deve tuffare dall’alto e non si riesce a mollare le mani
dalla presa. Dopo ti sembra una fesseria. Una fesseria liberatoria, però.
Finito il concerto, saluto tutti i nuovi amici de La Pigna. Comincia ad essere
tardi per me.
Ringrazio per la sorpresa e l’ospitalità. Prometto di ripassare e rincontrare
tutti, prima o poi.
Mi pare di lasciare un pezzo di vita qui, in alto, a San Remo. Sui tetti e nei
vicoli ripidi.
Mentre crollo nel letto penso a come, da ora in poi, ogni volta che sentirò
parlare di San Remo, non mi verranno più in mente Pippo Baudo e il teatro
Ariston. Credo sia un’altra buona vittoria -anche se piccola- di questo mio
viaggio. Giustizia é fatta, e la povera San Remo, salva.
Al massimo ora potrò ricordare la coppia di violoncellisti di stasera, sul
palco, che suonano i Pink Floyd fra pedali, effettiere e due mura crollate che
ricordano un bombardamento.
Oppure l’eleganza del viola dell’ipomea ad agosto, fra branchi amletici di
ciclisti fosforescenti.
Di sicuro, ricorderò tutti i nuovi amici che mi hanno spalancato le porte delle
loro case e delle loro vite.