| Eva. Il garbo della fotografia |

Bompas, mercoledì 03 settembre 2014
LVIII tappa: Leucate – Bompas, 24 Km


…che non bisogna essere colti, per essere onesti.

Undici chilomentri mi separano dalla meta.

Che dire? Nulla.
Credo mi sarebbe impossibile non scivolare nella retorica da fine avventura.
Tra l’altro, di epica, me ne intendo ben poco e sono più che conscio di non
essere nè Jack London nè Robert Stevenson, quindi scanso agilmente facili
quanto magre, figuracce.
Sono un (più o meno) giovane fotografo appassionato di arte e di cammino, che
di mestiere prova a fare l’editor e che la maggior parte del suo tempo la passa
a litigare con contratti e percentuali, molto lontano da tutta quella poetica
da sali d’argento, camera oscura e attimi irripetibili da catturare dentro i
quali l’immaginario comune, mi vorrebbe sprofondato.
Figuriamoci Isole del tesoro o Richiami della foresta….
Cerco piuttosto un buon posto per dormire questa ultima notte sotto le stelle,
in una meravigliosa notte tiepida e limpida, e scrivere un buon post che sia
almeno, se non originale, almeno imprevedibile.

E parlo di fotografia allora! Strano…

Poco prima di partire mi é stato chiesto di prendere parte alla giuria del
festival di fotografia romano Fotoleggendo. Accetto, non é la prima volta. Non
devo nemmeno pensarci mezzo secondo visto che é un’iniziativa di quelle rare,
bella e intelligente. Pulita e onesta. Un festival che da dieci anni veleggia
in mezzo i marosi di una crisi spaventosa e ormai insondabile, forte soltanto
della sua tenacia e della passione sconfinata dali organizzatori delle Officine
fotografiche per l’arte fotografica. É una piccola isola felice dove trovare un
po’ di rifugio e quiete far tante belle iniziative. I ragazzi delle officine poi, sono
diventati per me una sorta di famiglia al riparo da quel salotto
buono della fotografia professionale romana, che sa essere tanto egotica e
autoreferenziale, quanto piccina ed invidiosa. A volte. E lo dico con
cognizione di causa assoluta. Soprattutto é un festival che parte dal basso,
con quattro soldi in croce, fatto di volontari e partecipazione, lontano dai
meccanismi politico-marchettari fin troppo noti nell’italietta del vabbuò che
portano i furbi e gli ammanicati e non i meritevoli ad accedere al finanziamento
pubblico o ad altri favori e prebende. Lo so, é ormai dato per scontato che accada anche
nel nostro ambiente e la cosa se possibile mi urta ancor più, visto che
trattandosi di ambito culturale, dovrebbe essere a maggior ragione da fulgido
esempio, guidato da operatori del settore di specchiata fama e indubbie
capacità, lontani da qualunque ombra di clientelarismo. Spesso, ahinoi, non é
così. Ma non é questo il caso, dicevamo. Fotoleggendo resiste e migliora di
anno in anno come il vino buono, invecchiando. Dai primi timidi passi fino
all’importante taglio autoriale e internazionale. Con mostre ricercate e di
livello. Letture portfolio per ogni ambito della fotografia, incontri, tavole
rotonde e premiazioni.
Faccio volentieri la giuria, anzi sono sempre lusingato, e in particolare modo
lo sono quest’anno, che dopo la solita discussione a porte chiuse, si decide di
premiare il lavoro di Eva Kosloski, una mia vecchia conoscenza se non
addirittura ex allieva in un corso, non potrei giurarlo.

E quale può essere il nesso fra un premio di fotografia vinto a Roma e un
viaggio a piedi fra Italia e Francia?

Il nesso sono il garbo e la gentilezza.
Quando, ormai quaranta giorni fa, mi trovavo a cercar rifugio a Radicofani, non
faccio in tempo a capire dove sono, che mi ritrovo in uno splendido spedale per
camminanti, proprio di fronte all’austera facciata basso medioevale della
chiesetta sulla piazza. Ad ospitarmi, dei pellegrini che gestiscono questa
bella casetta fra i tetti, appena ristrutturata. Una simpatica coppia di
Pinerolo che mi mostra subito il letto, il bagno e dove riporre il mio bastone,
e un ragazzo, che mi racconta del suo viaggio a Gerusalemme. Mi aspettano per
mangiare un piatto di pasta tutti insieme. Parliamo di sentieri, ovviamente. Di
cammino. E di percorsi, che non sono solo quelli fatti dai piedi. Sono anche
quelli che ci portano qui adesso, stasera, per incontrarci e conoscerci e
dividere un pezzetto di viaggio insieme. Dopo un paio d’ore che ci raccontiamo,
il lui di Pinerolo mi spiega come un anno prima abbiano perso una figlia in un
incidente stradale. Me lo racconta come se fossi parte della sua famiglia. Io
mi accorgo che non so dove guardare e provo quel classico imbarazzo lì. Blatero
qualche ovvietà di circostanza e faccio soltanto in tempo a cogliere la
spontaneità della sua mano che, sul tavolo, stringe quella della moglie, che lo
riceve. Un gesto meccanico, provato innumerevoli volte in quella disperazione
senza fine. Nello stesso istante, per una frazione di secondo, i loro occhi si
smarriscono nel vuoto e poi si ritrovano in quella piccola, delicata stretta
sopra i quadretti rosso e bianchi della tovaglia.
E capisco come quella disperazione senza fine, sia per loro, un po’ meno
sconfinata.
Rimango profondamente turbato da quel gesto di bellezza e speranza umana,
praticato con così tanto garbo, nel nero profondo di uno scenario tragico. E mi
accorgo di quanto io, in realtà, non ci sia abituato. Di quanto, probabilmente,
non lo siamo più, tutti noi. Di quanto sia rara oggi la gentilezza. Per questo
penso ad Eva e al premio che ha vinto e di cui sono stato fervente sostenitore
da subito. Ora posso anche dirlo, credo.
Eva racconta la storia della sua famiglia. Di sua madre, che vive con la
sorella gemella e il compagno. La quotidianità di queste due arzille signore
ottantenni che leggono, disegnano e sistemano il terrazzo, scivola sotto gli
occhi foto dopo foto, nella sua annichilente banalità. Sullo sfondo, però, ecco
la tragedia. Le persecuzioni nazifasciste, la zia e le cugine trucidate e
quindi lo zio suicida. Il padre che muore. Le due bambine che restano sole al
mondo. Una vera ecatombe insomma. Ma le nostre due crescono, sopravvivono,
vanno avanti. Una emigra a Londra e diventa cineasta, l’altra a Roma si occupa
di grafica. Entrambe con la passione per l’arte. E’
il libro della vita che si sfoglia e la vita che sopravvive a sé stessa,
cercando di creare dell’ordinario e della normalità anche là dove la sorte ha
voluto porre follia e sofferenza.
Ed Eva lo racconta usando un garbo e una gentilezza tali da diventare armi di
riscatto, in questo lavoro che alla fin fine é un’allegoria dell’esistere
umano e che forse, vuole essere anche un piccolo gesto per comprendere e per
comprendersi. Probabilmente anche per fare i conti. Per far sì che la
disperazione sia un po’ meno sconfinata. Come la stretta di mano sulla tovaglia
a scacchi.
Eva raccoglie questa quotidianità e la mostra in tutta la sua semplicità e con
un’onestà intellettuale sconcertante. Una caffè al bar, un pisolino sul divano,
i piedi in acqua in riva al lago, fare due passi in campagna, sedersi vicino al
camino della vecchia e grande casa. Ogni immagine ha una sua intuizione
fortemente legata alla narrazione, il tutto in una luce chiara e cristallina
che pregna tutto questo piccolo mondo, di un’estetica pura e semplice. Senza
fronzoli o ammiccatine facilotte a chi guarda.
E per dare ulteriore riprova della sua leggerezza d’animo, Eva si concede anche
un autoscatto in salotto fra la madre e la zia.
Il mondo é pieno di progetti di ricerca autobiografici, in cui gli autori si
ritraggono in tutte le salse. É una decisione forte. Decidere di apparire
all’interno di una propria opera porta ad aprire mille finestre semantiche e,
spesso, a molte più problematiche da gestire nella narrazione. Di contro,
decidere di farlo in un solo singolo scatto, come fa Eva, ha sempre il
retrogusto di faciloneria nel voler creare un filo diretto di partecipazione
emotiva alla storia stessa per chi osserva. Ma non é cosi in questo caso. Eva é
sempre stata lì, fra le due gemelle ed é li che deve stare. Non c’é altro luogo
se si vuol raccogliere il pesante fardello del testimone, all’interno di questa
famiglia. Un testimone che é memoria ed é ricordo. Eva dimostra di esserci, ma
senza urlarlo in maniera sguaiata. Al massimo ci invita educatamente ad
assistere al momento, che senza dubbio é significativo per lei e per le persone
che ama.

Domani sarò giunto a meta. Undici chilometri, undici. A questo punto é come
dire: “Vado fino all’angolo a comprare le sigarette”
Non so bene cosa aspettarmi. Non credo che il resto del mondo sarà molto
influenzato da questo evento. Di sicuro sarà memorabile per il sottoscritto.
Camminare, cammino, e si é capito, ma é la prima volta che compio un viaggio di
1500 km in cinquantanove giorni.
Mentre cerco di prendere sonno, rimugino e ripercorro mentalmente la strada
fatta fin qua. É proprio tanta. Come tanti sono stati gli incontri e i momenti
emozionanti. Tante le lezioni apprese, spero. Senza dubbio, una fra le più
importanti mi é stata in termini di grazia e delicatezza, da persone che
nemmeno si conoscono fra di loro e che facilmente mai si incontreranno.
L’immagine di quella piccola carezza su una tovaglia bianca e rossa unita alla
fotografia di due anziane signore che dormono una vicina all’altra in prato
all’ombra degli alberi, rimarranno inossidabili nella mia memoria, monito per
la persona gentile e garbata che posso solo sperare di essere o diventare.