° ANONIME °

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Legnago (MN), 25 Giugno 2019
Da Revere a Legnago per 28 Km

“È molto difficile che gli antichi sentieri scompaiano, a meno che se li mangi il mare o che li ricopra l’asfalto. Sopravvivono come riferimenti territoriali appena percepibili, ma inconfondibili per chi sa guardare”

    Robert Macfarlane – “Le antiche vie”

Ammetto di essere un camminante vorace, ma non per questo acritico.
Onorando l’aspetto ludico del bighellonare cerco di bearmi dello stupore in ogni dove, dai prati alpini dove le marmotte pascolano felici, alle zone industriali coltivate a vasche da bagno e cessi abbandonati. Cerco di scollarmi di dosso pregiudizi estetici. La natura come soggetto di riflessione e il paesaggio come frutto di interpretazione alla ricerca di grazia o sublime.
Va da sé che la riscoperta di tracce dimenticate, segni sul terreno caduti nell’oblio, sia uno degli aspetti particolarmente goduriosi delle missioni di Around The Walk e quindi, anche di questo laboratorio errante in direzione del Simposio.
Credo abbia a che fare con la fascinazione provata dall’uomo verso l’abbandono.
E con l’immanenza della parola fine per ogni segmento del creato, in primis la propria scintilla di intelligenza vitale destinata ad addormentarsi, piaccia o non piaccia (e in genere non piaccia)
Guarda com’era, guarda come non è più, e qui una volta erano tutti campi.
Avevo adocchiato da un po’ la ferrovia dismessa da Ostiglia a Treviso. A curiosarla un po’ con il satellite non è proprio una cosettina da niente.
Un’incredibile solco di 120 km color sottobosco che disegna un’unica curva ben riconoscibile molto più di altre increspature naturali del paesaggio magari più famose e note del nord Italia, che qui invece, si fa sistema ascisse/ordinate per un grafico matematico senza sbavature.
Sono la precisione e la regolarità del segno, unite alla sua decadenza, all’oblio, a dar da pensare.
Migliaia di mani operaie (anonime per altro) che partecipano al compimento di un’opera d’arte. Uno squarcio che ferisce il territorio sotto il vessillo dell’“ok, scusate, ci siamo sbagliati e abbiamo scherzato”  confidando nell’eterno, inarrestabile processo di cicatrizzazione del pianeta.
A camminarci sopra, la ferrovia appare inaspettata, affiora dal terreno come una sorgente, come un reperto. Un pezzo di rotaia, un resto di traversina marcita. Si gioca agli archeologi.
Qualcuno c’ha fatto su l’orto. Per altri invece è un pezzo di prato da recintare e scriverci “area video sorvegliata” in mezzo al nulla, nel caso mai qualche bastardo volesse rubarsi della sterpaglia.
Per il futuro è prevista la conversione in pista ciclabile, e alcuni tratti sono già stati completati, in un ciclo che si chiude ed è paradigmatico del contemporaneo: opera-abbandono-riscoperta-riutilizzo.
Per quel che mi riguarda al momento è e rimane poesia allo stato puro, da bere con gli occhi.
Trionfo delle specie vegetali pioniere (anonime per altro) che tra istinto e casualità, in barba alla nevrosi schiaccinate della performace produttiva , si risistemano comode nel loro dovuto, che gli era stato espropriato e partecipano al disegno del paesaggio. Per forma e colore.

Terzo paesaggio ante litteram. Ed è confortante. Anzi rassicurante. Di più: è sottobosco.