| Ad essere moderni |

Montefiascone, venerdì 27 giugno 2014
VI tappa: Viterbo-Montefiascone, 18 km

 

Mai una casa, sempre e solo casette.
Un pezzo di Le Corbusier di qua è una palata di Scarpa di là.
Una cazzuolata di Lloyd Wright a destra e una di Loos a sinistra.
Camminare per una qualsiasi di queste zone residenziali o artigianali,
significa infilarsi in una pattumiera urbanistico-architettonica.
Un’isteria urbanistico-architettonica. Una cacofonia che ci assorda e
squilibra non appena mettiamo il naso fuori di casa.

Vitaliano Trevisan –  “I quindicimila passi”

 

Il treno con cui Emma mi deve raggiungere a Viterbo é in leggero ritardo. Sto
letteralmente morendo di fame. Lascio da parte la galanteria e mi porto avanti
con la colazione, non me ne vorrà, ne sono certo. La avviso con un sms e
intanto lavoro e sistemo i miei appunti.
“Eccomi!” Mi arriva alle spalle che sono al secondo cornetto. Un
altro successone delle Fs. La dott.sa Tagliacollo, a un primo sguardo, ha
azzeccato a pieno l’abbigliamento. Pantaloni larghi di tela, comodi, scarpe da
ginnastica e camicia a scacchi con le maniche lunghe. “É per il sole, non
vorrei scottarmi” dice. Annuisco: “ Ti manca solo il cappello allora,
a tesa larga come i pellegrini”
“Ce l’ho nello zaino” dice sorridendo. “Insieme alla protezione
40”.
Ci siamo conosciuti un pomeriggio di qualche mese fa alle Officine Zero di
Casal Bertone, Roma, l’occupazione a cui prendo parte, portata avanti dai
movimenti insieme agli operai della ex rsi che si stanno spendendo per un
progetto di recupero e ridestinazione dell’officina sul modello delle
occupazioni sud americane ed europee. Un’ amica comune ci presenta e in un
attimo siamo vecchi amici. Le parlo del mio progetto di viaggio, mi parla del
suo mestiere d’architetto e non posso perdere l’occasione di invitarla a far
due passi con me. Lei, fra le molteplici attività, segue un progetto, legato al
territorio e al paesaggio che si chiama proprio “Passeggiate fuori
porta”.
Emma é una ricercatrice del CNR super precaria (ci tiene a sottolinearlo in forza
di un contratto rinnovato di anno in anno) che con il patrocinio dell’Istituto
Nazionale di architettura e dell’Istituto per la conservazione e la
valorizzazione dei beni culturali, ha ideato una serie di incontri pubblici in
forma di cammino incentrati su letture urbanistiche e del paesaggio
partecipate, dove i partecipanti possono valorizzare il territorio mediante il
loro portato personale ed esperienziale durante la passeggiata.
Oltre a un ciclo nei luoghi dei monti Lepini, la ricerca toccherà anche il
territorio dell’alta Tuscia, motivo in più essere incuriosita dal mio progetto
di riflessioni e fotografia in viaggio e raggiungermi qui, in direzione
Montefiascone.
“Poi conosco un posto dove una volta ho mangiato benissimo con mio marito
e ti ci porto”. E non mancherò, ci mancherebbe.
La prima tappa non é delle più felici. L’unico modo per rifornirci di acqua e
provviste é entrare in un mega supermercato (megamall, mi spiega che si
chiamano) di quelli dove qualcuno, consigliò di passare l’estate per stare in
compagnia e al fresco.
Ottimo spunto per entrare nel vivo. “Vedi, l’idea é di ricreare un spazio
di civitas. Una piazza centrale che riecheggi quella del paese, e tutto
l’occorrente intorno…” mi dice, mentre cerchiamo l’ ingresso “… e
ovviamente soltanto all’insegna del far spendere i propri denari in
acquisti” Trovata. “ É questo che rende l’operazione posticcia,
perché il presupposto é sbagliato e il tessuto sociale non si crea, anzi”.
Anche per questo fa parte di un gruppo di acquisto solidale a Roma, mi spiega.
Le scelte personali giuste sono e saranno sempre più una priorità; nel fare la
spesa come nel fare architettura. Emma, da architetto, non si occupa di
disegnare, ma studia la critica, la storia, la ricerca e il pensiero che stanno
alle spalle della professione ed é normale quindi che mi dica: “Non é che
perché uno fa lo scrittore o il verduriere, il trasformarsi di una città non lo
riguardino da vicino. Parlare di urbanistica non vuol dire soltanto decidere
dove far passare una linea dl pullman, ed é ormai riduttivo parlare soltanto di
decoro urbano, bensì bisogna sdoganare sempre più il concetto di qualità
urbana”. Viterbo intanto, passo dopo passo é sempre più lontana e già
camminiamo tra balle di fieno e grano, sotto un cielo messicano bianco e blu.
Emma fotografa senza sosta il paesaggio, senza che il suo volto perda nemmeno
per un attimo il sorriso. “Tocca mettere l’accento sul fatto che le città,
hanno qualità di cui dobbiamo riappropriarci. Sono sistemi complessi, é vero,
ma dobbiamo sforzarci di riacquistarne la semplicità di fondo”.
Mi chiedo e le chiedo: “C’è e ci sarà un estetica in fare tutto questo? E
come si pone nel discorso?”
Occupandosi il sottoscritto di fotografia e visual, più in generale, é il tema
che più mi tocca da vicino e mi interessa approfondire.
Nel suo bel libro “Walkscape. Camminare come pratica estetica”
Francesco Careri (fondatore del progetto Stalker di Roma) ripercorre la storia
del gesto cammino, cercando di illustrarne l’influenza in ambito artistico e concettuale.
Partendo dall’erranza (che non prevede percorsi) dei cacciatori paleolitici,
l’uomo ha sempre influenzato il paesaggio attraverso la pratica del camminare
che verrà poi letta come prettamente simbolica, e questo, molto prima di
arrivare a concepire l’idea di architettura stessa. Il crescere della forbice
fra culture contadine-stanziali e pastorizie-nomadi, ha portato all’evolvere di
diversi modi di intendere lo spazio in una sorta di antiarchitettura legata
strettamente ai percorsi, i punti di riferimento e orientamento, meno
riconoscibile e studiata. Nel novecento, Dada e surrealisti prima, lettristi e
situazionisti poi, resero attuale il discorso utilizzando il girovagare come
azione artistica vera e propria e come gesto estetico nella trasformazione del
paesaggio. Camminare per esplorare e trasformare quegli spazi detti nomadi,
all’interno della città, alla riscoperta per esempio, di luoghi inutili o
banali, spazi al negativo, come una fontanella rotta o un prato abbandonato al
degrado.
“Il discorso di Careri è interessante, ma a me tocca solo in parte. In
realtà credo che non ci sia un estetica in un percorso. O meglio: credo nella
praticità delle cose e che i percorsi nascano così. Penso ai cammini dei
muratori, delle ricottare o delle spigolatrici che passavano per i monti Lepini
in centri come Priverno, per esempio. Cammini di migrazione lavorativa tardo
ottocentesca, ma su percorsi già utilizzati nel medioevo.” Mi dice che
devo assolutamente andare a vedere una mappa conservata al museo del mediterraneo
di Marsiglia con le vie di transumanza che arrivano fino al Lazio.
Si ferma a fotografare una villetta a schiera appena usciti dal bosco
“L’estetica c’è la possiamo mettere noi, la praticità c’è sempre di base
ed é quella che mi interessa di più, sennò metà delle cose che vediamo non
esisterebbe” conclude.
“Guarda questa villetta per esempio” beviamo dell’acqua. Non sembra
ma da una mezz’ora buona stiamo macinando un falso piano di quelli spezza
fiato.
“Io, oggi, mi sento come una bambina di sei anni. Felice e saltellante per
le bellezza potente della natura madre che ci incanta. Ecco l’estetica. Ed ecco
il piacere della ricerca: aspetto i lastroni di basalto del III secolo della
via francigena da stamattina in treno” tira il fiato e si sfila il
cappelletto rosso “poi ti fanno di queste cose qui no mezzo e il tutto é
assolutamente lecito!” Guarda amareggiata il finto pozzo in finta pietra
in mezzo al finto prato. Vicino, un suv bianco.
“Beh un po’ ti piacerà il kitsch no? Come a tutti dai!” obietto.
“ Sì, ma questo é cafone e basta” ribatte “ il kitsch é
divertente. Questo é kitsch!” e mi sventola sotto al naso la custodia del
suo iPhone a forma di pochette con i nastrini.
“Quanto é difficile essere moderni!” sospira poi, mentre ci
allontaniamo con un ultimo sguardo di taglio.
“Moderni in che senso?” chiedo. Mi colpisce questo appunto.
“Essere moderni significa ripercorrere i segni del passato dandogli nuovi
significati. Non serve per forza codificare qualcosa di nuovo alla base. Quello
che stiamo facendo noi oggi, é moderno per esempio…” Si ferma ed indica
il basalto “…eppure camminiamo su un percorso che ha almeno un migliaio
di anni”.
Non l’avevo mai letta in questa chiave. Riprendiamo a camminare e rimugino.
L’ultima salita per il centro di Montefiascone é micidiale. Arranchiamo ma per
fortuna una leggera pioggerella comincia accadere provvidenziale. Arriviamo ai
piedi di Santa Margherita e del suo cupolone a strapiombo sulla spianata di
Viterbo. Mozzafiato. Riusciamo a distinguere dall’alto i sentieri fatti. Emma
mi pare compiaciuta. Stanca, ma soddisfatta. Ci infiliamo nel primo bar con
connessione e continuiamo a chiacchierare con nel mezzo una bottiglia di est!
est! est! ghiacciata che ci rimette al mondo in soli due sorsi.
“Ma voi…” le chiedo “…ne discutere di queste cose? L’ordine
e la comunità degli architetti, intendo, si occupano di problematiche legate al
paesaggio, oppure anche solo di redigere, che so, un elenco di costruzioni da
tirare giù a colpi di bombe a mano?” Domanda poco ortodossa in effetti,
penso. “C’è dibattito su queste tematiche?”
“Guarda, se parli di libertà in architettura, io non so dirti a che punto
stiamo. Di sicuro c’è un problema nel veicolare e comunicare l’architettura
oggi” E te pareva. “Esistono quattro riviste patinate di qualità, per
carità, ma con i soliti quattro critici che si occupano sempre e solo delle
solite quatto archistar, o dei quattro studi di grido del momento. Sono un po’
poco stimolanti, insomma”.
“E alternative?” Chiedo “ gruppi indipendenti, collettivi,
ricerche autonome e al di fuori…”
“In realtà dal basso, la situazione é vivace anche in Italia, ma poi é
costretta a non avere visibilità, almeno ufficialmente. Penso a una rivista di
settore come AION che é stata lentamente screditata e decapitata dal mondo
accademico sempre riluttante a sostenere linee culturali alternative a quelle
ufficiali”. Intanto con il telefonino mi mostra le dozzine di foto fatte
in giornate: “Vedi…” sospira “…é tutto così semplicemente
bello che sarebbe tutto così facile in questo lavoro. Come nella vita?
“Rimaniamo un attimo in silenzio illuminati dal blu del monitor “Sì,
ma perché siamo al terzo bicchiere” osservo. E scoppiamo a ridere.
“Seriamente: l’architettura é lo spazio dove tessiamo o vogliamo tessere
le relazioni fra persone. É un aspetto fondamentale della vita e fa parte della
nostra identità. Camminare serve a misurare con il proprio corpo il territorio,
e territori e paesaggio sono affiancati in questo caso”.
La televisione passa immagini di un grosso rapper non proprio gradevole alla
vista, che dimena le braccia in maniera scomposta. Con voce robotica da boyband
urla da mezz’ora che l’hanno fatto sanguinare, o tu mi fai sanguinare, o roba
così. Di sicuro soffre tanto povero piccolo dai cattivissimi tatuaggi sul collo
da gang colombiana. Penso che sono davvero dispiaciuto di una colonna sonora
così poco riuscita.
Versando gli ultimi due mezzi bicchieri Emma dice: “Tu oggi non hai fatto
nemmeno una foto e hai un’ idea confusa sul tuo camminare”
Non posso che annuire. Touché. Non ho mai detto di aver chiaro cosa cerco o
cosa mi aspetti da questa impresa, ma l’ho sempre tenuto per me.
“…e non é per risparmiare batteria come dici. Io fotografo per ricordare
e per aver dati da confrontare, materia prima per lo studio. Tu cammini per
esplorare e scoprire le mete”
Sarà un male mi chiedo? Nel mentre il roborapper ha terminato la sua lagna e
noi il vino.
Ci alziamo e usciamo. Ci dirigiamo verso il ristorante speciale di Emma dove
suo marito Tommaso si unirà per cena e per ritornare con lei a Roma.
Ci salutiamo con un abbraccio che è un grazie reciproco per la bella giornata
insieme.
La piazza medievale é sprofondata nel silenzio più assoluto.