Lagaro, 17 Giugno 2019
Da Monte di Fò a Lagaro per 29 Km
(Ieri, a fine giornata)
Ai piedi di Monte Gazzaro incontro quattro ragazzi che come nella migliore delle tradizioni hanno smarrito la via. Sono della provincia di Forlì-Cesena. Non gli nascondo il mio debole per i romagnoli, visto che sono cresciuto lì. Si orientano e scendiamo insieme verso Monte di Fò. Facciamo il pezzo di fine giornata verso il campeggio chiacchierando a due passi dal cimitero germanico che dagli anni ‘60 svetta in cima al passo della Futa. Dodici ettari, architettura moderna, lapidi nel prato. Quale occasione migliore per attaccare il mio missilone sulla lotta di liberazione in generale, e su quella del Mugello in particolare. In realtà non ne so molto, ma l’amico e collega Giancarlo ha appena pubblicato un libro di fotografie proprio su questo tratto di Linea Gotica e sulle vicende della 36ª Brigata partigiana. E questo fa di me un esperto a pieno titolo. Anche solo di luce riflessa. Sciorino curiosità e numeri, direzioni cardinali e date. Termini come “nido di mitragliatrici”. Uno dei ragazzi alla fine si interroga sull’opportunità di costruire proprio qui un’opera così gigantesca come quella del cimitero che raccoglie 30.683 vittime germaniche provenienti da 2.069 comuni italiani interessati dalla follia paranoide e cementificatrice dei nazisti. E con qui, credo che intenda in Italia.
Inutile nascondere di aver nutrito lo stesso dubbio, lo stesso rancore, e mi chiedo se fra i 60.683 morti tedeschi ci siano anche quelli che premettero i grilletti a Stazzema, a Marzabotto. O che diedero fuoco alle case di Boves.
(Lo avrai camerata Kesserling il monumento che pretendi da noi italiani, ma con che pietra si costruirà, a deciderlo tocca a noi)
Un cartello all’ingresso del cimitero ora ci dice che “questi morti invocano la pace”. Magra consolazione, se non fosse pronunciato da dei morti, che alla fin dei conti non restano altro che quello che sono. Gente che ha smesso di respirare prima dello sperato oltre ogni altra considerazione politica e storica.
Qualche giorno fa con Ilaria ci siamo infilati in un complicato discorso sul perdono. Lei mi dice che non rientra proprio nel suo vocabolario, e con tutto quello che ha dovuto passare in vita sua, mi sento quasi meschino a parlare di perdonare proprio con lei. Non riesco a biasimarla. Di contro, sarà pure un retaggio cattolico il mio, ma se c’è una cosa che il cammino mi ha insegnato, è ad alleggerire anche quel tipo zavorra. Buttare fuori bordo i pesi inutili per volare in alto. In maniera egoista magari, perchè no? Per sudare di meno.
I pellegrini medioevali prima di partire chiedevano perdono e lo davano, non lasciavano questioni in sospeso con nessuno.
Forse perchè il cammino costa fatica già di suo, o perchè ci portiamo appresso uno zaino da dieci chili per i pendii, ma il rancore davvero mi farebbe sudare troppo. Anche se prova ad infilarsi di suo in borsa ogni volta che lo lascio a casa trattandolo il più possibile come un oggetto inutile. È lo sbucciamirtilli dei sentimenti.