• IRONIA DELLA SORTE •

09 Settembre 2015, Ferrandina scalo – Matera
Km percorsi:35

Scena 18

Corriamo giù per le colline di Miglionico che sembrano dune. Noi, invece, sembriamo bambini l’ultimo giorno di scuola, con l’estate davanti.
La terra è morbida, attutisce. Ad ogni passo, l’odore acre di zolle e azoto. Di muffa e germogli. Pizzica il naso inebriandomi. Credo sia una sensazione molto vicina alla felicità in senso assoluto. Il giallo ocra fa quasi male agli occhi. La tentazione di mettersi a fare capriole a faccia in avanti è forte, ma rimandiamo. Vogliamo tornare interi a Matera. Vediamo ormai i primi palazzi in alto, davanti a noi. Si avvicinano passo a passo, insieme alla fine di questa avventura lucana, in questo ultimo, lungo, strappo finale.
Come da manuale, essendo la tappa più impegnativa, riusciamo a perderci. Mea culpa, ok, che guido il gruppo.
Se spesso fidarsi dei consigli dei locali, vale per trovare un buon ristorante, non si può dire altrettanto per quel che riguarda le strade. Dovrei averlo già imparato da un pezzo: chi va in macchina ragiona per la macchina, e tre km o trenta alla fine, fanno poca differenza. Spesso ti dicono: “Sarà a cinque minuti” senza contare gli otto km di colline nel mezzo. Oppure: “Passa di lì che fai prima” e rischi di fare la fine del riccio sul bordo della statale.
Di contro, siamo costretti ad un bosco che è parco protetto.
Al centro, come un’oasi, un piccolo vivaio recintato e un signore con i baffi che lavora immerso nel verde delle sue piantine aromatiche. In un silenzio che sembra abbia del religioso.
Ci saluta con la mano da lontano, facciamo lo stesso.
Ed è un piacere essere qui, adesso. Non altrove.
Perché anche per chi cammina cambia la percezione del tempo, ma in maniera diversa. Diventa quasi una conseguenza secondaria degli eventi.
Essere in ritardo di più di un’ora o di cento, non ci turba minimamente.

Scena 19

Io e Ilaria seduti sul bordo della strada, i piedi a penzoloni sopra i campi gialli. Due pastori maremmani abbaiano da lontano. Siamo troppo stanchi per curarcene. Guardiamo l’altopiano di Matera fumando in silenzio, per cinque minuti, ognuno perso nei suoi pensieri.
È bizzarro arrivare fin qui, dopo un viaggio di 200 km a piedi, camminando su un’autostrada.
La linea ferroviaria Ferrandina-Matera è stata costruita e mai inaugurata. Non ci hanno messo i binari.
Rimangono due lingue di asfalto grigio lunghe chilometri, come piste di atterraggio per extraterrestri. Attraversiamo anche diversi ponti di ferro per arrivare fin qui e fumare.
Per carità, per noi viandanti, una bellezza. Surreale, fra piante che sbucano dalle fessure e volpi che scappano sulla carreggiata a quindici metri di altezza. Una bottarella di conti, però, fa tremare i polsi. Ecco l’incompiuto italiano. L’ennesimo. Ed ecco al fondo, come se non bastasse, la stazione di Matera. Nuova, vuota, in abbandono.
Ironia della sorte, viaggiamo a piedi per arrivare in una stazione.
Cerco sulla mappa la provinciale 8 che dovrebbe portarci verso il centro, quando scopro di camminarci sopra. Una viuzza sterrata con cumuli di macerie qua e là.
Lo svincolo per immettersi in città è crollato di due metri. Mangiato dal di sotto, si è accasciato su sé stesso, molle come liquirizia al sole, o come un pezzo di pan di spagna. Grumi di cemento armato sventolano appesi ai guardrail rimasti sospesi in alto.
Ricordano le decorazioni degli alberi di Natale, forse però, un po’ troppo costose.