| Così parlò Montezuma |

Trento, domenica 20 Luglio 2014
Cuneo, sabato 26 luglio 2014
km N.P.
Rapallo, 01 agosto 2014

 


“A dio non piace chi bara”

                                                                                            da  spinosa.it
(e grazie Francesco, ancora rido)

Ma come Trento, ma come Cuneo? Amene località tra l’altro. Per carità.
Certo mai un Los Angeles – New York, però. Un Parigi-Amsterdam. Vabbè, vinco
sicuramente in originalità.
Spiegazioni: nel programma della lunga marcia ho infilato una pausa di otto
giorni per due differenti appuntamenti che la fortuna e il caso hanno voluto
contigui, almeno temporalmente e che non potevo mancare. Uno di lavoro, l’altro
privato.
1) Festival TrentinoImmagini. Baselga di Pinè , provincia di Trento. Mi hanno
chiamato a fare il lettore di portfolio e il giurato al premio annesso.
2) Matrimonio. Cuneo, provincia di Cuneo. Sono invitato da due dei miei più
cari amici per il loro sposalizio e devo soltanto cercare di arrivare puntuale
e di mantenere un contegno per non finire come al solito a rotolare in un prato
cantando commosso “Come é bello far l’amore da Trieste in giù” che
ogni volta mi fa vibrare qualcosa nell’animo.
Missione compiuta. Sopravvissuto. Prendo il treno da Cuneo in direzione
Vernazza per tornare esattamente dove ero partito perché sia mai che rubo anche
solo un km di strada con un mezzo ruotomunito (neologismo. n.d.A.) e per riniziare
la mia marcia in direzione Perpignan.
“Bravo. Sappi che a Dio non piace chi bara” mi dice al telefono Francesco
facendomi ammazzare di risate.
Sul matrimonio non credo di aver molto da dire che interessi ai più. Posso solo
rinnovare i miei più cari auguri ai novelli sposi che sono stati ospiti
perfetti e che a quest’ora se la staranno godendo a Cuba.
Nicoletta, Simone sono felice per voi e mi riempie il cuore di serenità
pensarvi insieme, uniti.
Sul festival invece, due parole, due, le voglio spendere, ma non lo farò ora,
vorrei riuscire a riprendere l’argomento più avanti, con calma.

Intanto cammina-cammina faccio due conti, più che altro per tranquillizzarmi
sull’agenda di viaggio. Perfetto. A pennello. Ammetto di essere fiero di me, lo
potrò dire sì? A dio piacciono ancora meno i vanitosi, dicono.
Genova, bella, austera, grigia di pietra e nera di tetti, si avvicina passo a
passo e non vedo l’ora.
Le ultime tappe sono state più corte in fatto di kilometraggio giornaliero
visto che le cinque terre, come noto, sono un saliscendi continuo e
impegnativo. Le gambe hanno retto il colpo pare, ma meglio non strafare. Mi
sono riempito gli occhi di scogliere, vigne a strapiombo sul mare, calette che
sono porticcioli lindi per fare indigestione di sole e bagni. I cinque borghi
sembrano manciate di case buttate a caso sulle rocce, come dei mattoncini lego
e ringrazio siano state dichiarate patrimonio dell’Unesco. Qui si respira un
equilibrio rarissimo fra una natura vorace e vivace e lo spirito tenace e
rispettoso da gente di mare a cui é toccato viverla, che va preservato e
protetto a tutti i costi.
Sì, sono fiero di me e non faccio in tempo a compiacermene che appunto -zot!-
subisco una battuta d’arresto imprevista. O meglio, messa in conto come farebbe
chiunque sia anche solo un poco pratico dei viaggi di lunga durata. La
celeberrima vendetta di Montezuma, con febbre a 39 e sdelirio con tanto di re
Magi, Elvis Presley e il Gabibbo in fila al mio capezzale. Tutti c’erano. Per
tre giorni. Non un bello spettacolo, insomma.
Però non mi faccio demoralizzare, anzi, traggo insegnamento visto che il come
ho trovato soccorso e rifugio nella difficoltà, ha dell’incredibile, se non del
magico.
Arrivato la sera a Rapallo gironzolo sul lungo mare sotto il castello e mangio
il gelato che forse mi condannerà. Mentre cerco un cantuccio per riposare, per
purissimo caso sbatto letteralmente contro Silvia, la sorella più piccola di
Maria, una mia vecchia amica che dovrò vedere a Genova un paio di giorni dopo.
Feste, abbracci, saluti, baci e: “No, no, no vieni a dormire da mia madre,
non se ne parla!”
“…ma no dai, é mezzanotte, non mi va, disturbo…” cerimonioso che
sono.
“ ma non dire belinate su, che la casa é grande” ed é già al telefono
che parla con sua madre.
“ va bene” dico “…però domani alle sei io devo uscire di casa,
eh?”
Certo come no. Il giorno dopo alle nove sono lì che batto i denti e chiedo
coperte. La prima impressione non deve essere stata delle migliori, sembro uno
dei ragazzi dello zoo di Berlino. Mi rotolo nel letto come una trota nella
farina e corro in bagno con la cadenza di quattro volte al minuto. Posso solo immaginare
Silvia e la madre che al di là della porta del bagno, si consultano sulla
necessità di chiamare un’esorcista piuttosto che la guardia medica.
Passati due giorni in cui non mi perdono di vista un secondo e mi accudiscono
con rara attenzione e gentilezza, risorgo e posso fare una doccia per
riprendere controllo di me. Mi faccio pure la barba -tié- per salvare il
salvabile. Mi si rivela così la compagnia incredibilmente piacevole e discreta
della signora Cristiana, mia ospite e salvatrice. Con Silvia al lavoro,
passiamo lungo tempo a discorrere di arte, cinema, piante, architettura,
politica. Parliamo dei colori. Da architetto e disegnatrice é interessata al
mio mestiere e al perché e per come si possa fotografare in bianco e nero.
Parliamo di ritratti e di luce. La sala affaccia sul mare e sulle palme della
passeggiata, la palazzina antica ed elegante, é investita da questa luce
bianca, cristallina, quasi insostenibile. Seduto sul divanetto bevendo the, mi
sento come in un film di Bertolucci. Cammino a piedi scalzi su questi pavimenti
meravigliosi di graniglia ligure, tiepidi di sole. Cristiana mi spiega che li
facevano a mano con la calce o a cemento e mi racconta tutte le sue ipotesi
sulla storia del palazzo.
Con una compagnia così, e su consiglio medico, mi fermo ancora un giorno per
rimettermi in forze e godermi questo tepore casalingo, questa accoglienza
irripetibile.
La mattina dopo mi rimetto in marcia per i 30 km che mi separano da Genova e
penso.
Penso che alla fine ciò che deve accadere, accade, é vero.
Hai voglia a dimenarti e sbatterti come un forsennato.
Decideredecideredecidere.
Anche se il mio carattere e la mia formazione non lo concedono, l’incontro
salvifico con Silvia e sua madre, ha un innegabile sapore di predestinazione.
Che cosa avrei fatto? Sì, me la sarei cavata in un modo o nell’altro, sicuro,
come sempre, ma la sala invasa dal sole, la graniglia tiepida, le chiacchiere
con la Signora Cristiana? Questa amicizia nata in un modo così bizzarro e
speciale? Sembra che tutto fosse li ad aspettarmi da sempre, per arricchirmi.
Per pacificarmi. Per avere un altro ricordo indelebile di questo viaggio forse.
La sensazione é quella lÌ. Quella del destino.

Riesco a perdermi dopo 5 km sul sentiero per Camogli e in mezzo al bosco mi
accorgo che la chiamiamo sempre divina provvidenza quando la vicenda si risolve
bene, e fato avverso quando invece va male. Non mi pare corretto, o almeno, mi
sembra un po’ comoda la cosa…
Per stare sereno -nel dubbio- e in modo più pragmatico preferisco pensarla con
Borges: “Chiamiamo caso la nostra incapacità di spiegare la concatenazione
degli eventi”.

Vero, e gli incontri fanno il viaggio quanto il viaggiare.