| Chi insegna alla Maddalena |

Genova centro, mercoledì 06 agosto 2014
XVIII tappa: Genova centro – Cogoleto, 31 km

Fedi umiliate da un credo inumano
che le volle schiave già prima di Abramo,
con riconoscenza ora soffron la pena
di chi perdonò a Maddalena.

F. De Andrè “ Via della croce”

Io
e Pier Mario ci conosciamo fin da ragazzini. Amici di famiglia con cui si
andava in ferie. In realtà lui era ragazzino, mentre io ero il fratellino
rompipalle di mia sorella Laura più grande di tre anni . Ricordo una vacanza in
Corsica dove per la prima volta vidi un bosco in fiamme e per la prima volta
ascoltai una cassetta di Roberto Vecchioni con loro. Ero rapito dall’idea di un
cavallo che doveva correre (ti prego) fino a questa esotica Samarcanda, che la
mia fantasia di bambino vedeva irraggiungibile, mitica, forse addirittura in
provincia di Vercelli. Il tutto per salvare un povero disgraziato che ancora
non ho ben capito che cacchio abbia combinato. Comunque.

A seguire, due vite intere per crescere, studiare, iniziare carriere, finirle,
cambiare, ricominciare, innamorarsi, fare famiglia e lasciarsi vivere. Ogni
tanto qualche rapido incontro casuale o quasi, e notizie avute da altri. Oppure
dal giornale. Nessun crimine per fortuna, tutte brave persone, anzi, un
articolo che parla di un bizzarro progetto a Genova, ideato da un
musicista-poeta cuneese e dalla sua compagna cantautrice di Rapallo. Ed eccoci
qua, Piermario e Maria, in arte Giua. E un coro multietnico . Mi riprometto di
incontrarli e di andare a curiosare appena di passaggio in Liguria e,
detto-fatto, quale occasione migliore! Salgo in ascensore per raggiungerli,
mangiare insieme e andare alle prove del loro Coro Popolare della Maddalena,
nel pomeriggio. La sera mi apriranno il divano letto.

É un incontro fra vecchi amici. Tutti e due con tanti capelli grigi a
condannarci a un età maggiore di quella effettiva e tutti e due con gli
occhiali sul naso. Ci chiamiamo fra noi Mamo e Pepe come venticinque anni fa e
Giua, bellissima e radiosa nel suo vestito bianco, non sa se essere più
divertita o preoccupata per la cosa. Nemmeno mia madre mi chiama più così. Mi
pare di capire sia lo stesso per lui. Mangiamo riso, insalata e frutta in
questo appartamento luminoso e sereno quanto i loro volti, circondati dal
rumoreggiare lontano che dal vicolo, sale alla finestra. Davanti e sotto di
noi, tetti, campanili in pietra e il quartiere della Maddalena che si offre,
labirinto di carrugi e di vite che cozzano fra loro e a ogni vicolo cieco in
cui sbatti il muso, devi ritentare la fortuna, a caso, e vedrai che ti andrà
meglio.

La Maddalena, anzi il sestiere della Maddalena come dicono qui, é il cuore
della vita cittadina e del commercio genovese, da sempre. A ridosso del porto,
di piazza del caricamento, della via del campo di de Andrè e degli occhi grigi
come la strada. Della multirazziale e strillona via Pre. Sembrano gli anni
cinquanta.

Pier Mario e Giua mi spiegano come in quartiere il problema dell’integrazione
sia da sempre concreto e di come le situazione di vita a rischio, siano ancora
tante. In particolare modo, indigenza e prostituzione sono tangibili. L’idea
del coro nasce proprio da questo e muove i primi passi da qui. É un’operazione
di tipo sociale e partecipativo. La musica e il canto, antichi e potenti come
il mondo, per creare tessuto, comunità, scambio, confronto, legame e sì,
integrazione. Non solo fra etnie diverse, ma anche soltanto fra cittadini
italiani che vivono lo stesso quartiere provenendo dai ceti sociali e dai
percorsi di vita più disparati. Riappropriarsi del sestiere e viverlo da
cittadini consapevoli, onesti e civili. E mi pare un buon punto di partenza.

La sera alle cinque siamo tutti nella nuovissima piazza intitolata a Don Gallo,
che del coro era amico, a due passi da palazzo rosso, in pieno centro storico.
Non conosco nessuno, ma tutti mi sorridono e salutano come parte assodata della
truppa e già questo mi pare un ottimo risultato, in una città che come ben so,
sa essere asciutta e molto spiccia nei modi, soprattutto con i forestieri.

Saremo una cinquantina, colorati e vocianti. Molte persone alle finestre già si
affacciano, altri si fermano incuriositi. Giua e l’amica, collega Flavia
richiamano tutti all’ordine e al silenzio al momento giusto. La direzione del
coro é loro, doppia e tutta al femminile, energica ma garbata e competente,
mentre l’occhio attento di Pier Mario, vigila da tutti i punti della piazza,
seguendo riprese, microfoni e registrazione insieme al fonico. Tra una facciata
e di rimbalzo su un’altra, l’aria si gonfia delle voci di questo strampalato
coro popolare, con le signore che come sempre squillano più alto dei signori,
che un po’ intimiditi, necessitano del tempo giusto per rodare e farsi sentire.

Il tutto a mio avviso, é commovente, soprattutto per il fatto che é davvero
raro vedere così tante persone divertirsi di gusto nello stesso medesimo
istante facendo qualcosa insieme, partecipando alla stessa voglia di fare la
cosa più semplice e liberatoria di sempre: cantare a squarciagola.

La prima fila, più esagitata, balla. Una ragazza riccia, dalla carnagione color
del bronzo, si sfila i sandali e tiene il tempo battendo i piedi scalzi sul
selciato. Ha un vestitino leggero, estivo, color ruggine e verde bottiglia.
Corro di qua e di la a scattare foto a tutti, e senza accorgermene canto pure
io.

Alla fine del primo pezzo l’applauso, da tutte le parti, é spontaneo e dovuto.
Giua e Flavia smettono di tagliare l’aria con le braccia. Tutti ridono ,
sorridono e sembrano soddisfatti. Qualcuno abbozza inchini su questo palco di
strada.

Un signore spagnolo sulla cinquantina (che poi scoprirò chiamarsi Francisco) e
la consorte, si spellano le mani a forza di applausi e sono galvanizzati dal
concerto inatteso che il sestiere gli ha regalato. Fanno parte del movimento
spagnolo 15M e mi chiedono un miliardo di cose sul coro che non capisco,
pensando che io ne sia un organizzatore e che parli -non so perché- un ottimo
spagnolo. Riesco soltanto a spiegargli che adoro il gazpacho e odio la corrida.
Qualcuno corre in mio soccorso e alla fine i due promettono che ruberanno
l’idea per portarla a Madrid e fare lo stesso, visto i risultati e l’atmosfera
stupefacenti. Ecco il volto buono della globalizzazione, penso. Non solo scambi
finanziari e merci in giri schizofrenici per il mondo.

Si provano tre pezzi, in italiano spagnolo e inglese che sono le lingue più
parlate nel coro e che sono stati proposti e scelti dai coristi proprio come
recitava la prima locandina che ho visto appesa in cucina da Pier e Giua:
“ti aspettiamo ma tu intanto pensa a una canzone che ti piacerebbe
cantare,quella che più ti rappresenta, quella che ascoltavi da bambino, quella
del primo bacio…”

Verso la fine delle prove la gente in piazza é decuplicata e moltissimi
passanti si sono fermati per ascoltare e chiedere informazioni, spesso per
chiedere come partecipare e diventare coristi. Nessun problema, perché il coro
é nato per gli abitanti della Maddalena, é vero, ma Pier e Giua mi spiegano che
vogliono allargarlo, come esperimento sociale, a tutta la cittadinanza
genovese. “E siamo sempre alla ricerca di coristi uomini” mi dicono,
oltre che di finanziamenti e partenariati fra enti pubblici e privati. Vogliono
infatti arrivare a poter pagare i coristi, cosa che da un mese sono già
riusciti a fare, anche se con cifre non troppo esose, come ovvio che sia. E
lancio qui un appello, allora.

Tutto si conclude dopo quasi due orette di musica, canto, risate e grandi
emozioni. Ci si ferma a chiacchierare tutti insieme. Mi presentano a quasi
tutti e con tutti scambio due parole su di loro, la loro vita, la mia e sul mio
viaggio a piedi. Chi va a casa e chi va a mangiare una pizza. Chi deve
lavorare. Il coro é formato veramente da persone di ogni genere, estrazione e
mestiere. Ci sono insegnanti, professionisti, attivisti, studenti, artigiani,
uomini, donne, transgender. La vita, insomma. Di tutto un po’ e anche
professioniste dell’amore del quartiere, che il tenace lavoro svolto da
Piermario e Giua porta a porta, per conquistarne la fiducia e sconfiggerne la
diffidenza, ha regalato al progetto come preziose coriste.

Arrivando qui e facendo un po’ di rassegna stampa sul coro popolare della
Maddalena, ho trovato sempre l’accento posto su questo aspetto. “Non é un
coro di prostitute” Me lo ripetono più volte entrambi. É vero e lo vedo
con i miei occhi, e come spesso capita, i giornali, riescono ad essere
fuorvianti grazie ai loro titoli altisonanti. Qui una volta la settimana si
incontrano le Persone. Quelle che ancora ci credono, che hanno voglia di
cambiare le cose, o almeno ci provano e non si danno per vinte, e soprattutto
quelle che amano la propria città come la più bella del mondo.

La mattina alle cinque e mezza sono sotto casa di Pier e Giua che ho
abbracciato la sera prima. Devo prendere un’altra volta in direzione Pegli,
verso ovest per superare nuovamente il,relitto della Concordia e iniziare la
lunga e piatta costa di ponente fino a Ventimiglia e al confine francese. Mi
mancano poco meno di 200 km.

Sotto casa una signorina, che ho già incontrato il pomeriggio prima, mi saluta
con la mano. Avevamo scambiato qualche parola. Credo abbia finito e stia
andando a dormire. A questo punto, giornali o non giornali, viene spontaneo
chiedermi se le piacerebbe far parte del coro. Chissà se ne conosce l’
esistenza e soprattutto chissà che voce sarà. É piccola, mora, formosetta, non
proprio slanciata. A vederla, sarà un soprano, penso.

Pioviggina. Decido di allungare per guardare ancora una volta il duomo mentre
Genova albeggia.

Pier Mario, la sera prima, mi ha raccontato che l’unico momento di piccolo
imbarazzo si é creato con alcune coriste, che seppur donne il tutto e per
tutto, hanno ancora una la voce maschile.

Problema superato più che agilmente con un pronto: “Allora sei un
contralto!”